martedì 23 luglio 2013

The Royal Baby

"It's a Son". Con queste esatte parole, ma pronunciate nella nostra lingua - Ni 'kiume - hanno annunciato il lieto l'evento al mondo intero.
Un parto complicato ho sentito dire, non ne volevo proprio sapere di abbandonare il mio piccolo mondo, mia mamma Nadira ha dovuto impegnarsi un bel po' mentre fuori, incuranti del sole impietoso e della polvere, un pastore oziava tra le sue capre e quattro ragazzini si affannavano dietro ad un pallone fatto di stracci, che tutto sommato rotola abbastanza bene.
Nella capanna, oltre a lei, c'erano due donne del villaggio, le mkunga, pronte ad aiutarla e sostenerla, ma ha fatto praticamente tutto da sola. E dopo un po' si è alzata per andare al fiume a prendere l'acqua come fa ogni giorno. Io ero già sulle sulle spalle, avvolto bello stretto.

Sono venuto al mondo ieri. Nel mio villaggio che è un puntino sul vostro Google Earth, sperduto tra il deserto e gli oceani, mi aspettavano con ansia, la mia è una famiglia molto importante. Azibo, mio nonno, il capo del villaggio, ha fatto cucinare il gari e plantaine fritte per festeggiare.
Non vi dico l'entusiasmo, la festa, la felicità di tutti quanti, sembravano diventati matti. Pare che la notizia si sia propagata addirittura fino ai villaggi intorno. Per un attimo mi sono sentito il centro dell'universo, un principe nascente, addirittura quasi un futuro re. 
Perché, sapete, quando nasce un piccolo qui è sempre una specie di festa, né più né meno di quanto accade nelle altre parti del mondo. Anche se da noi c'è una piccola complicazione, ma roba di poco conto, nulla per cui valga la pena che vi preoccupiate. Perché da queste parti del mondo, ogni anno, pare che due virgola sei milioni di noi non ce la faccia. E due virgola sei milioni di bambini che muoiono, se ci pensi, è un numero spropositato gigantesco ed incredibile se li metti tutti in fila e cominci a contarli, è come se una città come la vostra Roma la riempissi fitta fitta solo di bambini con i loro vagiti e gli urletti ed i sonagli d'osso agitati piano e poi "puff!!"li facessi scomparire tutti, in un gigantesco gioco di prestigio un po' macabro. 

Ma oggi è un giorno che non ci devi pensare a queste cose, che devi festeggiare e stare felice, e poi hanno detto alla radio del nonno che anche a tanti chilometri di distanza da qui festeggiano che sembrano matti un altro bambino uguale a me, nato proprio nel minuto preciso spaccato in cui sono nato io. Ma che lui a differenza di me, vivrà sì in una capanna un poco più grande della mia, ma in un villaggio umido, freddo e triste poverino, dove la nebbia è padrona ed impedisce agli occhi dei bambini di godere del sole caldo e grande come quello che abbiamo noi qui.

E allora già mi sento un po' più fortunato.

Ah, forse non lo sapete, ma il latte è proprio la cosa più buona del mondo. 

Fonte: QUI
e QUI

giovedì 18 luglio 2013

Altrove



Arturo ha la faccia da bravo ragazzo, alto, lungo ed un piede rotto. Anche per lui è la sua prima moto. Mi ricorda un pò me alla sua età. Non appena sollevo il telone mormora piano "è bellissima", nonostante sia coperta da due dita di polvere e poi non riesce a levarle più gli occhi di dosso. Anche il suo amico, quello più esperto, la prova, la studia, la esamina attentamente, e poi dà il suo assenso. "La moto è a posto" gli dice, e Arturo sorride - E' quello che cercavo - mi fa.
Lo so - rispondo io, guardandolo fisso negli occhi.

Altrove, una vita di anni fa, quando il mio mondo aveva orizzonti diversi e meno domande a cui non so più dare risposte, eravamo di ritorno dall'ultima ecografia. La venuta al mondo di quella che sarebbe diventata la mia Ciccia bellissima era ormai prossima. Con la consorte si parlava distrattamente di un conoscente che aveva appena cambiato la moto. Lei ad un certo punto mi guarda e sorridendo mi dice: "Stai per diventare un padre di famiglia. Ti rendi conto che se non l'hai comperata fino ad ora, non la prenderai più".
Mi ricordo benissimo il semaforo diventare rosso ed a destra le due vetrine del negozio.
Lei era lì, esattamente dove doveva essere, luccicante e splendida. Mi aspettava, sembrava che avesse scritto su "la tua ultima occasione" a caratteri lampeggianti.
Parcheggio, lascio la consorte perplessa in auto ed entro. Ne esco dopo nemmeno cinque minuti e le chiedo di venirla a vedere dicendole: "Avevi ragione. Se non la compravo adesso non la compravo più".

Capita, nella logica delle cose che di logico non hanno mai niente che tu ti debba adattare. Che, per sopravvivenza o necessità od ambedue le cose, debba farti giunco e lasciarti scivolare addosso impassibile le folate del vento di tempesta, senza domandarti il come ed il perché, senza nemmeno aspettare che tutto finisca, perché sai che, prima o poi, anche l'ultimo scroscio rumoroso si allontanerà, lasciando dietro di sé un'aria che sa di pulito ed un cielo azzurro chiaro che ti permetta di guardare lontano ancora una volta.

E' stata il mio regalo per me per aver fatto la mia Ciccia così bella. E' stata la mia prima ed unica moto. Sono state le mie strade senza domande, quelle che arrivi in studio ed il sorriso non te lo spengono nemmeno le litigate coi soci, le mie curve piegate fino ad accarezzare la strada, gli incontri con le persone più speciali, il sole che tramonta al di là della visiera, e gioca riflettendosi sui mille giri dorati dei raggi in ottone. E' la pressione sulla schiena della mia Ciccia attaccata stretta che irradia il suo volermi bene così vasto, che quando accelero piano la sento felice ed impaurita, cuore di passerotto, lei ed il suo casco del sole e della luna di Valentino Rossi che non riesce a contenere tutto il suo sorriso.
Sono state anche un paio di cadute, ma non c'è motociclista che non si possa definir tale senza aver assaggiato almeno una volta l'asfalto.

"Se potessi ​parlare chiederei ancora una volta il permesso di lasciarmi libere le parole e le mani e con quelle spiegherei le vele del tempo che altrove ha avuto il suo senso di essere, intessuto del trascorrere dei secondi e delle nuvole che sfumano, del tempo che mi manca quando quell'inflessione conosciuta mi fa immaginare con chirurgica precisione la piega esatta del tuo sorriso".​

Hai ragione come sempre, sono solo cose. E per un verso è così. Per il verso razionale e freddo che so di poter dominare è così, godo di quello che ho avuto. Ma è una faccia sola della medaglia. L'altra reclama urla e strepiti ed incazzature e lacrime, come sempre accade con le cose più grandi di me, con le decisioni improrogabili, con questo cazzo di mondo che va da schifo e che mi strappa le quattro cose che mi sono conquistato per amore per forza o molto più semplicemente per una fottuta fortuna e che sono diventate parte di me, la pelle delle mie dita, gli occhi, il respiro freddo di una corsa all'alba.
Ma lei è la mia moto con tutta se stessa, con i suoi colori che non ho mai capito quali fossero ma che a me piaceva esattamente così, è il borbottio che conosco, i due scarichi cromati, è la freccia che ogni tanto dimentico, è l'adesivo che mia figlia ha messo sul tappo del serbatoio, è quella sensazione che hai non appena sali e che sembra ti trasformi. Sono i gesti che diventano abitudine, i guanti buttati nel parabrezza, lo starter e poi via.

"Se potessi dare spazio alla pelle del dorso della mano questa mi porterebbe altrove, ad attendere di poter sfiorare un dorso di un'altra mano una volta almeno, così quasi per caso, un pendolo distratto del braccio mentre osservi i nostri riflessi percorrere con passi veloci le vetrine dei negozi."

Perché sai, a volte basta quel minimo di alcool che si muove sinuoso nelle vene, mischia i pensieri che pensavi volessero uscire e te li mette in disparte proponendone altri, confonde le frasi e i ragionamenti, solleva silenziosamente il coperchio del serbatoio dei ricordi e le esigenze e tutto ciò che hai cercato di affondare con il tacco a schiacciare sottoterra affiora e velocemente si sposta dal torbido verso l'acqua limpida, uscendo dai gorghi della normalità che ricopre i ricordi ed il tempo. E torna alla bocca dello stomaco la fame di quello che ho così inaspettatamente avuto, di quello che non c'erano parole adatte per comprenderlo, di quello che stupidamente, ogni tanto manca così forte da lasciarti consumato all'angolo.

Se invece potessi dare ascolto alla memoria degli occhi ritornerei altrove, solo a percepire il profumo del sole che filtrava attraverso quella persiana abbassata ed a indovinare lacrime che mi appartenevano e una felicità così spaventosa da non avere parole. 

E' solo una stupida moto. Vecchia per giunta, un ammasso di molle, pistoni, qualche pezzo di plastica e un po' di ingranaggi unti. Ma sono quei momenti, quella parte del mio tempo in cui ho la certezza di aver vissuto che si stacca come la pelle di un serpente e se ne va, è un'altra maledetta parte di me che si allontana per percorrere strade che non mi apparterranno.  
Oggi ho poche parole per parlare, ma nuove pareti di amianto che mi circondano, che mi proteggono dal fuoco, mi rendono insensibile al calore e che mi lasciano un sorriso lento in fondo agli occhi, che non vuol significare proprio niente.

Sì. Sono proprio queste pareti nuove che mi fanno sorridere ad Arturo mentre gli stringo la mano e lo accompagno fuori, lui e la sua nuova moto.

Ma vorrei, Dio lo sa se lo vorrei, essere semplicemente altrove.