sabato 10 novembre 2012

Dio non esiste.



La prima parte di questo post è datata agosto. Poi forse ero troppo furente e confuso ed allora l'ho abbandonato lì, a sedimentare un po', a lasciarsi ricoprire e raffreddare dalla corrente dolce delle cose. Quest'oggi l'ho ritrovato, ho scavato da me per aggiungervi quello che ancora doveva venir via e l'ho messo qua. 

Un agosto come quello di quest'anno, con quel caldo appiccicoso che non puoi andare a correre prima delle nove di sera e l'impossibilità di pensare nemmeno a due giorni di mare, non ci era ancora capitata. In montagna, visto il clima che si respira all'interno di quelle mura - e si dice che sia tutta colpa mia e della mia elasticità simile a quella di un paracarro - la consorte ha deciso che non si va. Ed allora non ci rimane altra scelta di una permanenza forzata in quel di Bucodiculoplace, si lavora però si torna presto, si esce prima di cena con la Ciccia che mi fa da coach in bici e ride del mio fiatone. Si frequentano quei pochi amici comuni che abbiamo e che, come noi, han giocoforza optato per un'estate al risparmio. Si cerca di farne comunque vacanza, di ridere e ridere, di giocare spensierati, di far buon viso ad una sorte non certo propizia. La Ciccia è felice lo stesso senza retropensieri, il suo centro dell'universo sono ancora e sempre io, il mondo è solo il contorno, ed avermi tutto per sé è una pacchia che le capita di rado, basta che stiamo insieme. E così insieme siamo, passeggiamo per vie assolate del centro, entriamo in musei curiosando come matti, assaporiamo gelati riposandoci seduti sulle panchine all'ombra di platani secolari, mangiamo schifezze quando ne abbiamo voglia, la sera ci addormentiamo mani nelle mani e mani nelle mani la mattina ci risvegliamo.

Un paio di volte, insieme ad una coppia di amici con figliola al seguito, ci concediamo il lusso di una giornata intera passata in uno di quei classici posti da estate in città, con piscine di ogni forma e profondità, ombrelloni, scivoli e chioschetti di bibite. Il posto è in una città vicina e se ne parla bene; sembra pulito, bene attrezzato e non ti massacrano troppo, alla cassa dell'ingresso.
Arriviamo, entriamo, la gente è tanta ma il posto è abbastanza bello, pulito ed ordinato. Fa un caldo torrido, ci sono le piscine per i bambini e per gli adulti, quelle con la sabbia, per i tuffi, scivoli di ogni colore e pendenza e ci sono bagnini in ogni posto, due o tre per zona, e il livello di attenzione è notevole. Il tempo di trovare un paio di sdraio che io e la mia Ciccia non useremo mai e siamo già in acqua, a rincorrerci, tuffarci, scherzare. Facciamo così da sempre, la consorte che invece è un tipo da sdraio e parole crociate, si sistema e si raccomanda un passaggio dalle sue parti almeno ogni due ore. 
Giochiamo, proviamo gli scivoli, prima quelli più facili poi quelli sempre più ripidi, ritorniamo in vasca quando la coda è troppa, scherziamo, ci schizziamo, facciamo le verticali, le gare di apnea dove, per fortuna, vinco ancora io, anche se mi sorprendo dei suoi rapidi avvicinamenti. Troppo in fretta arriva l'ora di pranzo, ci sistemiamo di malavoglia all'ombra degli alberi, buttiamo giù qualcosa di veloce, mordiamo il freno perché quello è il momento migliore, gli scivoli sono quasi tutti vuoti. Appena ci danno il permesso siamo di nuovo là, a sfidarci, a vedere chi schizza di più la folla quando arrivi giù come una palla di cannone.

Accade tutto mentre siamo impegnati sullo scivolo blu, quello che si fa seduti su un salvagente cercando di non ribaltare nelle paraboliche. Arriva giù prima mia figlia e poi, subito dopo io. All'arrivo la consorte ci attende. Ha quegli occhi che sai che è capitato qualcosa, anche se è distante, anche se non parla. Penso subito a mia madre, alle nostre stupide incomprensioni. "Cosa è successo." mi avvicino per chiederle. 
I suoi occhi si riempiono improvvisamente gonfi di lacrime e riesce solo a dirmi "un bambino", indicando la vasca grande, a pochi passi dalle sedie a sdraio dove ci sono i nostri asciugamani.
Il bambino è disteso sul bordo. Intorno il personale della piscina e due persone, quasi sicuramente medici, che stanno prestando il primo soccorso. 

Il silenzio improvviso è pesante, inonda la scena e la rende irreale. Il mondo si ferma. l'acqua è uno specchio azzurro, immobile. Le persone sembrano congelate, tranne quelle che si muovono freneticamente intorno a quel corpicino immobile. I genitori sono lì, la loro disperazione è uno strazio che si propaga e fa un contrasto acido con il silenzio quasi vergognoso degli altri. 
Il braccio del bambino penzola, la mano quasi galleggia carezzando l'acqua, e piccole ondine si propagano lievi. 
Guardo in giro. Tutti, nessuno escluso, tengono abbracciato il proprio figlio, aggrappati, stretti, con gli occhi fissi su quel punto, l'unico punto dove un bambino non può vedere i propri genitori. Anch'io. Tengo la mia Ciccia stretta perché c'è qualcosa di malvagio che vola e che vuole portarsi via i bambini. Tengo la mia Ciccia stretta perché in quel contatto che profuma di pelle bagnata c'è tutta la mia vita, perché solo sentirne il battito del cuore, lieve attraverso le mie dita, mi fa star bene. 

Il piccolo non riprende conoscenza, arrivano rapide due ambulanze, la polizia. La dedizione di ogni persona impegnata è assoluta. Non parla nessuno, il piccolo non riprende conoscenza, le voci dei medici risuonano secche e distinte. Solo un lamento di bestia ferita che è il dolore più ancestrale e puro, le grida di chi vuole strappare questa giornata a brandelli e ricominciare da capo, impedire l'impensabile, risuonano più alte. 
Continuo a tenere la mia Ciccia stretta e mio malgrado non posso impedirmi di stare bene, me ne vergogno perché lì la madre di tutte le tragedie si sta consumando ed io non riesco comunque a non essere egoisticamente felice per me. Ed anche nella stretta che lasciano le mani degli altri genitori sulle braccia dei propri figli leggo una felicità colpevole. 

Non sono lì. 

Il rumore delle pale di un elicottero in rapido avvicinamento ci distrae dalla scena, atterra, i lettini vengono rapidamente sgomberati, un cancello con un lucchetto divelto dalla gente che aiuta come può. Arrivano i paramedici con la barella, caricano su il corpicino inerte e si allontanano accompagnati da una specie di applauso imbarazzato. Poi velocemente, in una nuvola di polvere spariscono. 

Ci si guarda smarriti. Abbiamo tutti lo sguardo sgomento, siamo incapaci di tornare a parlare con un tono di voce normale. Qualcuno piange, qualcun altro a quel punto si sente male, i più incominciano a metter via gli asciugamani ed i giochi. Solo i bambini più piccoli riescono ad ottenere il permesso di giocare ancora nella vasca piccola. Usciamo silenziosamente, saranno le sei del pomeriggio, nonostante il sole ancora alto non fa più caldo. 
Ed io non riesco a non pensare agli occhi di quell'uomo che non voleva allontanarsi da lì, non riesco a non pensare a quelle urla a quella voglia di strapparsi la pelle di dosso che è rabbia, che è la lotta contro gli dei. Non riesco a non pensarci perché tempo fa mi ci sono trovato anch'io, a due passi da quel dolore così. A me è andata bene, le parole di mia figlia al suo risveglio non le baratterei per nulla al mondo.  A loro no. Finirà così. Lo leggeremo sui giornali due giorni più in là.
"Dio ti ringrazio", ho sentito una mamma mormorare piano, mentre guardava suo figlio. So esattamente cosa provava. Perché l'ho pensato anch'io.
Ma quale Dio può permettere una cosa così. Quale Dio può concepire un disegno così malvagio, quale essere che si dice governi ed osservi le nostre vite, può essere così spietato. Perché, ci hanno inculcato da piccoli, tu devi passare un'intera esistenza a non commettere peccati, a pentirti se li commetti, non puoi desiderare le donne e le cose degli altri, non puoi dire il falso, non puoi nominare il nome di Dio invano mentre Lui, se esiste, può strapparti la vita dal petto a suo piacere e tu devi chinare il capo, ipotizzare in questo un disegno divino destinato a renderci migliori ed accettare la volontà di Dio? Perché?
Perché c'è qualcosa di sbagliato al mondo se un bambino muore, che sia in piscina a due passi da qui, per fame in Africa o sotto un bombardamento dall'altra parte del mondo. C'è qualcosa di sbagliato ed oltraggioso per lui, per i suoi genitori, per il mondo stesso e per me che ero contento di non essere al loro posto. C'è qualcosa di assurdo e di ottusamente ingiusto, nel non poter avere influenza sul destino e sul tempo, nel non poter essere mai arbitri né giudici ma solo carne da macello. Non è così che un Dio giusto, se mai esiste, può gestire le cose. 
Ed io, spero almeno per lui che non esista. 

"Quale sarebbe la morale di tutta la storia? Nessuna. 
Se è vero che chi muore giovane è caro agli dei, allora gli dei sono davvero dei gran pezzi di merda."
http://bop.iobloggo.com/#3301465 [Chi muore giovane è caro agli dei bastardi]

9 commenti:

  1. lo vedo come un Tutto auto-regolamentato, che dà e prende, in maniera oggettiva e amorale: è il non capirne il senso che ci addolora..................

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  2. Non lo so.
    E' un dolore che non posso conoscere perché figli non ne ho.
    E' un dolore che conosco da figlia, perché mio Padre non ce l ho più. e quando Dio si è preso mio padre, lui aveva 40 compiuti da qualche mese e io ero una bambina in cui il centro dell'universo era proprio lo sguardo del suo papà, come per la tua Cucciola.

    Troppo giovane anche lui. certo non un bambino. qualcuno ha detto che dovrebbero essere i nonni a insegnare ai bambini cos è la morte. ma troppo spesso non è così...
    Quando morì mio Padre, qualche folgorato ha avuto il coraggio di dirmi "tuo Padre era troppo buono, e Dio l ha voluto accanto a sé perché aveva bisogno del suo aiuto, Dio ha sempre bisogno di persone buone accanto a lui".
    Con tutta la rabbia della mia infanzia bruciata, ho risposto "Lui aveva bisogno di mio Papà? lui che è Onnipotente? e io che non lo sono non c ho mica bisogno del mio Papà?".
    (sì lo so... ero carogna già da piccola...)

    Non lo so... credo che chi è capace di fede trovi in essa risposte o se ne faccia una ragione. Per me sono quesiti che ad oggi sono ancora senza una valida risposta.
    Ti abbraccio.
    S.

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  3. @theyogi: molto probabilmente hai ragione tu. Non 'è un senso, un ordine, ed il non capirne il senso, la logica, non poterne controllare le variabili e scoprire di non aver particolare influenza sulla nostra vita ci opprime e ci fa incazzare. Alcuni trovano risposte in quello che è un'assenza di risposte. Ma parlo per me, ovviamente. P.S. bello, quel nuovo bestiolino.
    @Sys: Io credo che se più che altro ne faccia una ragione. Non è nella mia natura accettare passivamente, non lo è mai stato. Sono portato, penso per natura, a voler conoscere, capire, ragionare. I dogmi mi son sempre stati un po'sulle palle.

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  4. Ho letto e, potrai capirmi, non ho parole.

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    1. Ti capisco, certo. Se ne hai voglia poi, vai a leggere il post linkato. E' di una bravura eccezionale.

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  5. Se avere fede significa credere in un Dio che gioca con noi come si fa con i soldatini allora preferisco non credere in Dio. Dubito, però, che se esista un Dio dell'Amore somigli a qualcuno di questo tipo...
    La morte, soprattutto quella dei bambini, è dura da digerire perchè non può essere compresa fino in fondo e, dunque, non può essere controllata...perchè è questo che vorremmo, anche se poi magari non lo sapremmo gestire.
    Forse sarebbe meno aspro se smettessimo di applicare il nostro schema, per cui le cose devono andare in un certo modo, seguire un certo ordine...da sempre la morte dimostra che non è così!

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  6. Ok. Ho letto la tua storia e la storia del link indicato. Di un incredibile struggimento.
    Sai che io non credo in alcun dio. E sono molto determinista, la morte è l'unica cosa certa della vita. La morte di un bambino è inaccettabile. Soprattutto una morte stupida, per un incidente evitabile. Ma ogni morte è stupida, obietterai tu. Certo.
    Per lavoro faccio monitoraggio di ricerca per un male incurabile e degenerativo. Vedo cartelle di pazienti che anno dopo anno inesorabilmente peggiorano. Finché muoiono. E si mette una piccola "form elettronica", un modulo di "Mortality". Entrano nell'enorme calderone statistico della no-profit che sta cercando una cura a livello mondiale, lottando con i tagli e le leggi dei vari paesi che non consentono la ricerca sulle staminali embrionali.
    Quanto si lotta per evitare la morte.
    Io sono diventata determinista. Farò presto testamento biologico. Per me non vorrò alcun accanimento, non vorrò neppure chiemioterapia in caso di cancro metastatico. Perché so di prima mano cosa succede ad un paziente in chemioterapia.
    E forse perché non credo. Perché io ci sono arrivata a quest'età mentre ad altri la vita si è fermata in modo assurdo per una guerra, o un incidente stupido.
    Qaant'è stupida la morte, eh? E la vita?
    Vedi che effetto mi fa leggerti?

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  7. @Monica: Hai una lucidità che non mi appartiene e molto probabilmente hai ragione tu. Troppe volte usiamo la nostra logica per tentare di comprendere cose che alla logica sfuggono. Ed io cado in questo errore più spesso di quanto voglia.
    @Martina: Bop secondo me è uno tra i blogger migliori che abbia mai letto. Lascia un segno tangibile, nelle parole che leggi. E tu hai una forza dentro che nemmeno lo sai, quanta sia.

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