venerdì 10 settembre 2010

Tàlìa

Suadente, tàlìa. E' una delle parole più morbide e musicali che abbia sentito e che che mi sia portato dentro come ricordo da quell'isola già lontana.
Tàlìa, con i due accenti marcati ed un frammento piccolissimo di tempo di sospensione dopo, di attesa.
Tàlìa, voce del verbo talìari (andate a curiosare su wikizziunariu, è un autentico spasso)  viene quasi sempre accompagnato da un gesto aprendo le mani, mentre ti viene offerto, mostrato o spiegato qualcosa.
La associo immediatamente a volti sorridenti, al vento caldo che odora del profumo intenso delle zagare e che si riempie del frinire delle cicale, ai cabaret ripieni stracolmi di paste alle mandorle e di cannoli, ai pomodori caldi e succosi, raccolti nell'orto e mangiati subito, nella miglior definizione possibile di alimento a km zero.
Vuol dire guarda, ecco qua, è per te. Con un calore ed una gentilezza, tipica della gente e dei luoghi di là che mi ha colto spesso impreparato.

Strana quest'isola e strana gente, questi siciliani. Strana nell'estrema ed a volte perfino esagerata disponibilità, strana nell'aprirti la casa ed il cuore, con una disarmante semplicità che ha messo a dura prova con la mia naturale scontrosità. 
Strana nello stridore tra l'incanto dell'antico a quattro passi dal degrado più intenso. Strana per certe realtà, nelle diversità, nell'immobilità, nella cultura che prevarica il tempo. 
E molto più probabilmente sarò risultato strano io a loro, è una questione relativa, dipende da come la rigiri. Ho radici laggiù, mio nonno paterno era nato là, ma il nome di famiglia proviene da più lontano, Spagna forse, o Portogallo, mi raccontavano da piccolo. Ho la "j" nel cognome, da figo, come mi han detto una volta. Ma siamo profondamente diversi. 
Ma lentamente questa diversità si è affievolita, smussata, stemperata. E l'Isola, piano piano ci ha assorbiti, con la sua lenta magia.
Abbiamo attraversato lande desolate con antichi paesini abbarbicati e distese a perdita d'occhio di scheletri di serre,  abbandonate ed immobili . Ci siamo beati di specchi di mare solo per noi, lucenti di sole come cristalli purissimi e siamo entrati in punta di piedi in aristocratici e decadenti palazzi. 
Abbiamo nuotato fino allo sfinimento tenendoci sempre per mano e con le lunghe foglie di palma abbiamo spento un incendio che minacciava il nostro albergo.
Abbiamo mangiato fichi d'india dolcissimi e ci siamo trovati le spine tra le dita anche nei giorni seguenti.
La mia piccola, ancor più magra e slanciata, la pelle color del miele dorato, i lunghi capelli e gli occhi scintillanti che catturavano tutte le sfumature del mare mi è sembrata pericolosamente ancora più bella.
Ha iniziato a mettere le consonanti doppie dove abitualmente non ci vanno (a ccasa, ammangiare, ecc.) ed ha preso ad utilizzare uno slang siculopadano con cadenza torinese  che ha divertito tutti ("andùma a curcari" è stata salutata con un applauso): è stata affettuosamente ribattezzata "ciaravedda", con suo grande disappunto.

Ma la permanenza, pur con i suoi benefici effluvi che nascondo sotto l'abbronzatura è stata veramente troppo breve.
Però ho portato indietro sapori nuovi, profumi intensi ed immagini, chiusi dentro il consueto sacchetto di conchiglie bellissime.
Le spiaggie lunghissime e quasi deserte della riserva di Torre Salsa ed il bianco accecante della Scala dei Turchi che si scaglia dentro il blu più intenso.
I gechi intorno ai lampioni nella calma della sera, con i loro occhietti curiosi e mia figlia che li osservava diffidente.
Il sole del tramonto liquido che si scioglie nel mare, caldo come un abbraccio. 
La maestosità delle incredibili rovine di Selinunte in un silenzio quasi irreale.
I miei passi di corsa la mattina presto, su quella sabbia dura come asfalto.
Il gelato a Marina di Ragusa.
Le facce intagliate nel legno dei vecchi immobili intorno alla fontana di Prizzi.
Le mani che mi hanno stretto forte e gli occhi umidi di commozione sincera di Totino e sua moglie, quando sono partito.
E l'ultimo ultimissimo arancino, caldo e croccante, sul traghetto che ci riportava alla realtà, dopo una settimana di meraviglia che sa già di sogno.

3 commenti:

  1. Hai filtrato. Bene. La Sicilia ha una sua realtà, più che altro, è iperrealtà.
    'U sfinciuni tu manciasti? E 'a capunatiedda? E a pasta chi tinnirumi? Spero proprio di sì. Ciao!! E...baciamo le mani!!

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  2. ...sembra proprio che le diffidenze di un precedente post siano svanite e liquefatte, proprio come il some al tramonto...

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  3. @Bruno: ci ho provato, almeno. La Sicilia meriterebbe un tempo speciale da dedicarle, non quattro giorni sfilacciati di vacanza.
    U sfinciuni e 'a capunatuedda sì. E a pasta chi... COSA?? Questa mi è sfuggita.
    'Azz... dovrò tornarci.
    Baciamo le mani a Vossia ^_^

    @mjaVale: già. Solo troppo breve il soggiorno. meriterebbe veramente di più. Vorrà dire che mi lascerò nuovamente convincere, una di queste estati...

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