giovedì 29 luglio 2010

To barba

No, non so se ci vivrei. Livorno è una città diversa da me o forse molto più simile di quanto io pensi. Confusa, limpida e lurida, di traffico caotico, intrecciato e colorato di motorini, di palazzi aristocratici e di abbandono sudicio dietro l'angolo, di mura di canali antichi che sono monumento che sembra una ferita aperta, con il mare che vi penetra profondamente.

I cadetti sono giovani, hanno capelli a spazzola e lo sguardo verso l'orizzonte più lontano, audace e lucido come le loro divise. Avresti voluto lo facessi anch'io. Non ti ho mai ascoltato. Forse mi conoscevi più di me.

In quel piccolo bar scovato la mattina presto, un'armonia di profumo di caffè e di fragranze appena sfornate, di chiacchiere e cadenze,  le sfoglie perfette alla mela, alla mora e la granella di zucchero, ieri erano ancora più dolci e delicate del solito. Chissà se qui ti ci sei mai fermato.

Sulla passeggiata che è scacchiera immensa dove ti ho fatto conoscere mia figlia io, alfiere troppe volte sconfitto ma mai vinto  ho corso a lungo fino a smarrirmi, confrontandomi col mare aperto e scuro, respirando a pieni polmoni quest'aria che sa di salsedine e di resina di pino, irriso dal vociare senza sosta delle cicale.

No, riprendendo l'autostrada per un attimo - ma un attimo solo - ho tentennato. Poi ho puntato la freccia a sinistra, chiudendo in un armadio insicurezze e voglie egoiste da padre sperduto e mi sono diretto verso nord. La mia piccola sta meglio e sorride anche senza di me. Sono corsi ai ripari. Loro hanno capito, finalmente, che è piccola sul serio, nonostante la statura, e se la chiamo così un motivo ci dovrà pur essere. La sua voce non è più rotta dalla nostalgia di me.

Ho comperato miele per la tua dolcezza e oli profumati per districarti i capelli dal sale per quando tornerai, un tuffo nei pensieri più profondi a riportar dal fondo i sorrisi più luminosi, mai persi. Una mano aperta a confrontar la tua e sulla lingua le parole che ci leghino insieme ancora più stretti.

No, che non ci sono andato. A piedi, di corsa, ma quale corsa, non si può certo chiamare correre andare a 6 al chilometro, se non oltre. E sì che in quella rotonda me lo sentivo, che c'era qualcosa che mi chiamava. Avrei dovuto ascoltarlo, quel sospiro, quell'alito di vento giocoso che intrecciava i miei capelli ormai lunghissimi e ribelli, girare incuriosito tra viali incogniti. Bastava poco, l'ingresso del cimitero era a meno di cinquecento metri dal punto in cui mi son fermato a sentire qualcosa che non proveniva dalle cuffie del lettore. E poi ti avrei trovato. Avrei dovuto lasciarlo, quel sorriso sulla fotografia incorniciata dall'ovale

In ogni cima raggiunta ritrovo i tuoi passi di allora, metto le dita su ogni appiglio dove le tue dita un tempo si sono posate. Un mozzicone di Windsor de Luxe abbandonato alle soste. Nel riflesso verde di alberi affogati di quel lago che è stata la tua prima sorpresa per me si non si è ancora consumato l'eco dei tuoi racconti e del mio ascoltarti incantato. E adesso tu da qui guardi il mare e sei solo. La medaglietta che porto al collo e mi rimbalza sul petto quando corro porta inciso sul retro una dedica: "To barba".
Non l'ho mai levata, da quando sono nato.

Torno, promesso.

2 commenti:

  1. anche quello l avevo letto quello stesso giorno...
    alle volte non so se cerco te o cerco me in te.

    cotoletta.

    RispondiElimina
  2. @Cotoletta: L'importante è non smettere di cercare.

    RispondiElimina