venerdì 30 aprile 2010

Primo test

Le dita tutt'uno alla presa giusta. Ed in mezzo minuto ero su, ad artigliare il bordo.
Dovessi pensare a ieri, riassumerei tutto in queste poche parole.
Ieri era il giorno fissato per la verifica periodica alla seconda delle palestre artificiali di arrampicata che seguiamo. La logica ed il raziocinio che da sempre mi contraddistinguono (!!!) han fatto sì che le mie incombenze si riducessero solamente a portare attrezzatura ed a fare sicurezza dal basso a chi invece, in parete avrebbe fatto la parte del leone.

Questo in teoria.

Sono stato bravo, non mi ero vestito alla bisogna, ho fatto solo lo sherpa, srotolato la corda, annodato, preparato corde cordini e moschettoni e mi sono seduto tranquillo a fare sicurezza osservando il mio socio che, smoccolando il giusto, controllava serraggi di dadi e bulloni.
La palestra è una di quelle toste, secca, con parti strapiombanti e pochissime prese nei percorsi verticali. E' questa qua.  I primi passaggi del mio socio, sbuffante e tirato, addirittura gli han consigliato di scegliersi una via meno impegnativa, per evitare di cuocersi da subito i muscoli delle braccia.
Guardavo le mie scarpette, chiuse nel sacchettino. Guardavo i friend ed i nuts che ho usato poche volte, avendo arrampicato quasi sempre in pareti attrezzate. Guardavo e ripensavo alle prime vie, alle falesie impegnative ed alle lunghe doppie in discesa, quando il discensore diventa rovente per l'attrito.
"Provo io, adesso", ho detto al mio socio una volta ritornato sotto dopo aver verificato una parte della parete, mentre si stava massaggiavando le braccia.
Lui mi ha guardato, e mi ha solo detto "vedi di non fare cazzate, appena senti dolore fermati che ti calo, la posso finire da solo senza problemi".
Ma non era per quello. Non volevo dargli una mano, no, volevo arrampicare e basta. Volevo senrtirmi ed esserci. Volevo ritrovare confidenza con la parete, con le mani ed i piedi, con tutto me stesso.
La scarpetta, già stretta di suo, non ne voleva sapere di entrare. Ho dovuto slacciarla completamente e ripassare le lunghissime stringhe per allacciarla stretta. Una seconda pelle, di gomma dura che stringe le dita e tessuto.
Il tendine ha protestato da subito, è abituato alle comode scarpe da running, da circa due mesi. La cicatrice era in bell'evidenza, tirata e lucida.
Mettere le mani dietro, trovare il sacchettino e la magnesite sulle dita da soffiare mentre studi la via. Un respiro.
Tutta l'attenzione si concentra magicamente su quelle sporgenze colorate, quelle buone per i piedi e quelle dove due dita si incastrano di brutto.
Subito mi son detto dai, prova. Metti il piede come devi, allungalo verso il basso, vedi come reagisce, se fa male smetti, non fare il cretino.  
Ma i primi movimenti sono stati impacciati, avevo timore, ho provato a non caricare troppo, ma andare su con due mani ed un piede solo era francamente al di sopra delle mie possibilità.
Allora ho smesso di pensare al tendine, a me ed ai mille cazzi. Ho smesso di pensare e basta. Ho caricato il peso, saggiato la forza nelle braccia e via, son partito. Ed i passaggi, i gesti, erano tutti lì, in un sacchetto a portata di mano, gli appigli mi venivano incontro, facili, vicinissimi.
Ed in un niente ero già in cima, sereno, rilassato, morbido. Mi sono messo in sicurezza con una tranquillità remota e mi sono goduto la mia mezz'ora di serraggi, sbuffi e denti stretti.
Tornato sotto mi sono goduto la ritualità dei gesti, il mettere via ordinate, le cose, i rinvii, gli attrezzi. E senza pensare ho sfilato, da cretino, la corda di servizio della via che avevo appena salito.
E sempre senza pensare me la sono legata ad un cordino dell'imbrago e son risalito a riportarla su. Il mio socio, che nel frattempo parlava al telefono è rimasto per un attimo sconcertato: voleva farmi sicurezza, lui, ma non aveva una corda sulla quale farmela.
"Ti sei accordo che sei slegato, vero?" Mi ha chiesto, sempre al telefono
"Non tanto", gli ho risposto io.
Ed ho rifatto la stessa via di prima mano dopo mano, appiglio dopo appiglio, senza aiuti mentali o scuse, senza se e senza ma. Affidandomi a me dal di dentro. Confidando sulle mie capacità e basta. Ignorando le false paure dettate dalla logica bassezza della ragione.
Ed ho percorso una bellissima via, questa volta, molto più bella e completa di prima.
Giunto in cima ho preso la corda, l'ho ripassata nel moschettone finale e son ridisceso.
E sotto ho ritrovato il mio tendine, gonfio come una noce, una volta liberato dalla ferra stretta delle scarpette.
Ho subito telefonato a Renè, il mio allenatore privato e personalissimo, che mi ha, come si conviene, insultato di brutto. Ma rideva, era contento, l'ho sentito. E' arrivata l'ora di cominciare sul serio - mi ha detto, salutandomi. Non vedo l'ora.
Peggio del tendine erano ridotti i miei jeans che, dopo vent'anni di onorato servizio, si sono meritati il diritto di andare definitivamente in pensione.
Meglio del mio tendine, invece, tutto me stesso. L'arrampicata rappresenta uno tra gli antitress più efficaci mai provati.
Non penso però, purtroppo che l'arrampicata possa annoverarsi tra le sedute di fisioterapia più indicate, ma voi, mi raccomando, non andate subito a spifferarlo al mio luminare!!

2 commenti: