Questa ve la devo proprio raccontare, per farvi capire di che pasta, che animo sensibile era questo blogger qua, quando ancora non pagava neanche il biglietto del tram.
E, giuro, è tutto vero.
Sì, ero proprio piccolino, sui 4 anni penso, ma già con quell'inventiva che mi caratterizzava e quella voglia di smontare e scoprire ogni cosa che mi hamo portato in conseguenza a laurearmi ingegnere.
Smontavo tutto, lo faccio ancora, i pezzi del mio smarphone Asus son lì tutti in una scatola a dimostrarlo, guardandomi malissimo.
Ricordo che quando i miei genitori avevano la necessità di affidarci a qalcuno, i parenti interpellati si affrettavano subito ad aggiudicarsi le mie sorelle, facendomi assistere a delle scene del tipo "prendo le due bambine e ci metto su anche due biglietti del cinema per voi ma lui no, vi prego!". Insomma, con me, chi arrivava per ultimo, perdeva.
Mi sentivo un pò come deve sentirsi il bambino più brocco all'oratorio, quando si formano le squadre per la partita di calcio.
Ho scoperto la differenza tra corrente continua ed alternata prendendo un motorino (smontato dal meccanismo che dava la voce al Cicciobello) e infilando i due fili che la collegavano alla pila da 1.5 Volt direttamente nella presa dell'ingresso. Avevo sei anni ed il botto me lo ricordo ancora adesso. Avevo automobiline velocissime, che mentre viaggiavano oltretutto dicevano anche "mamma, mamma", o cantavano vezzose filastrocche. Le mie sorelle per contro, non erano per niente contente.
Quando poi, molti anni dopo, ho affrontato i primi rudimenti di quello che sarebbe poi diventato mestiere, al Corso di Elettrotecnica 1, ho sorriso come quando ti raccontano di un vecchio amico, ricordando quel botto: io con la corrente praticamente ci parlo. Ma ho divagato, come mi capita spesso. Torno all'episodio.
Ero impegnato nelllo studio dei fluidi, in quel periodo. Avevo entusiasticamente scoperto che le pentoline di mia sorella maggiore, quelle con i manici, incastrate nella tazza del water e con un sapiente dosaggio dello sciacquone, si mettevano a girare vorticosamente ed erano qualcosa di molto simile alle turbine delle centrali idroelettriche. Un precursore, un genio in pantaloncini corti e bretelle, direte voi.
Ed i miei genitori niente. Mio padre dava la colpa al berretto troppo stretto che, in qualche maniera aveva limitato l'afflusso del sangue al cervello.
E pertanto i miei, che non capivano il mio fulgido genio, invece di appoggiarmi e di seguire le mie crescite mi osteggiavano, mi nascondevano i fiammiferi ad esempio, come quella volta che ho incendiato il materasso (il quinto, in ordine di: prima un divano, poi le tende, un parquet appena vetrificato e... ah, sì, un albero!!!) ma non divago di nuovo, torno al racconto.
Allora, ero lì, bello e concentrato con matita e taccuino, con il mio esperimento in corso che avrebbe potuto portare a grandi scoperte ed ampliare la mia conoscenza tecnica, quando un veniale errore di valutazione sulla portata dei liquidi ha scaraventato la pentolina dentro lo scarico incastrandola a fondo con un sonoro "plop" e creando immediatamente il mio primo invaso artificiale, con notevole stupore da parte dello scienziato in erba e sgomento improvviso da parte di mia madre, fino a quel punto ignara, richiamata dalle urla di mia sorella che, in camera sua, si era trovata con i piedi improvvisamente a mollo e molte pentole in meno nella sua cucina giocattolo.
Mia madre accorre fulminea e strappa via con mio disappunto tutte le altre pentoline (avevo in programma tutta una serie di simulazioni scientifiche). Controlla il bagno allagato e si rende conto che la pentola è incastrata troppo a fondo. Non si perde d'animo, è mia madre, l'ho allevata bene, tenendola sempre in guardia. Riflette sul fatto che, con tre bambini da 0 a 6 anni, un bagno solo (inutilizzabile) ed il primo idraulico all'orizzonte magari il giorno successivo, non può attendere oltre e, da donna risoluta quanto è ancora adesso (due mesi fa mi ha chiesto di acquistarle una motosega, ma anche questa è un'altra storia...) si mette a smontare il water per liberarlo dall'intoppo. E lì commette un errore gravissimo: non mi immobilizza al radiatore con il nastro adesivo da idraulico, come nei film.
E così, mentre è lì che traffica, tra pinze, chiavi inglesi e guarnizioni, affannata e sbuffante a mollo nell'acqua si dimentica di me.
Di me, il genio del crimine in braghette che, privato del principale obiettivo mi ero subitamente dirottato, assetato, verso altre fonti del sapere.
Mi ero immerso nello studio degli sport, analizzando le possibili migliorie per portare una ventata di innovazione nei giochi Olimpici, per sostenere il povero barone De Coubertin.
E così quando mia madre sente un rumore di vetri rotti e si precipita in cucina, abbandonando un bagno inagibile ed allagato non capisce.
Non capisce, trovando me, mia sorella maggiore e un bottiglione frantumato che era pieno di olio proveniente dalle Cinque Terre.
Non comprende che, sul pavimento a piastrelle rivestito di un sottile velo untuoso, stavamo sperimentando una nuova disciplina artistica chiamata "pattinaggio su olio", che secondo il mio modesto parere si poteva effettuare ovunque, senza grossi impianti costosi e addirittura senza pattini, permettendo spericolate evoluzioni anche sulla schiena, come stavo infatti sperimentando. Non si rende conto dell'inventiva, della voglia di creare, non mi guarda come mi aspettavo con quello sguardo pieno di orgoglio e quella nuvoletta con su scritto "Questo è mio figlio": cioè sì, su quella nuvoletta forse c'era scritto quello, accompagnato comunque con tutta una serie di improperi e disegni improponibili, ma lo sguardo, quegli occhi, in quel momento esprimevano tutto tranne che orgoglio. Ma per fortuna (mia) non ha tempo, per me, come vorrebbe.
E così, ancora una volta, con il bagno smontato ed allagato da una parte, la cucina invasa dall'olio dall'altra e noi due unti da far paura non si perde d'animo, ci pulisce alla belle meglio, sparge della segatura per rimediare al danno e cerca di evitare che le due masse liquide si incontrino drammaticamente sul tappeto del salotto.
Ed in quel mentre le telefona mia nonna.
Chiama sofferente, la povera vecchia, chiedendo a mia madre di mollare tutto eraggiungerla, perchè è sola in casa ed è caduta, rompendosi una spalla.
Ma mia madre però, al limite della crisi isterica risponde che questa volta proprio non può.
Non può perchè che la casa è un incubo, c'è olio ovunque, noi due siamo sporchi da far schifo e il bagno è inagibile e dice a mia nonna, testuali parole: "E' tutta colpa sua (indicando me), che non so cosa abbia in testa, e se non lo ammazzo oggi, giuro, non lo ammazzo più".
Io, allora, animo sensibile e discretamente impressionato dalla possibilità di terminare precocemente la mia tenera esistenza, mi allontano silenziosamente. Esserino galante, ricordavo vagamente una frase della pubblicità che le donne si conquistano con un fiore. Entro in sala, sgocciolando olio dappertutto, sul tappeto, il parquet e i mobili. Mi dirigo verso una sanseveria alta più di me, orgoglio e vanto di mia madre che lei curava in modo maniacale. Mi avvicino. La abbraccio e la tiro su, sradicandola. Torno indietro, verso di lei ancora in piedi accanto al telefono a muro, lasciando una traccia di foglie, perdendo pezzi di terra nell'olio, e mi dirigo verso di lei, che si immobilizza a bocca aperta, quando mi vede arrivare, che mi avvicino e con la pianta ormai miseramente stritolata tra le braccia pronuncio la seguente frase:
"Mamma, facciamo pace".
Mia madre non mi ha ucciso, allora per fortuna (mia).
Nella lunga nostra vita sotto gli stessi tetti ha sicuramente le ho procurato numerosi altri moventi, ma la ragione vacillante e l'amore di mamma alla fine hanno sempre prevalso.
Di sicuro quando ho abbandonato la mia famiglia per crearmene una mia ha tirato un lungo sospiro di sollievo. Le malelingue sostengono che il giorno del mio matrimonio si sia avvicinata alla mia novella consorte sussurrandole "Ed ora sono tutti c...i tuoi".
Ogni tanto mi ricorda che se mi avesse fatto fuora quel giorno, a quest'oggi sarebbe uscita da tempo di prigione.
L'avesse fatto non si sarebbe divertita così tanto, comunque, ribatto sempre io.
Io, che l'ho addestrata proprio bene.
D&R