lunedì 21 dicembre 2009

Di Genova, di vento e di un freddo polare


La scorsa settimana son tornato a Genova, per lavoro. Mi sono goduto una giornata incredibile, fatta di un freddo tagliente di un mare d'ardesia  e di gabbiani appesi al vento teso che ti portava via, con il freddo che ti faceva bruciare la punta delle dita e svolazzare impazzito il cappotto ed i capelli.

Genova è una di quelle città che penso mi appartengano, che mi fa respirare diverso, per mille motivi, molti dei quali solo miei o quasi. Ogni volta che devo andare giù comincio a stare bene ancora prima di esserci, l'ho già scritto.

Quando posso parcheggio sotto, nei parcheggi dei Magazzini del Cotone. E di colpo mi trovo catapultato dentro la Genova che amo, partendo dallo spiazzo vicino all'Acquario, con il sibilo metallico e tintinnante che fa il vento quando gioca tra le sartie delle barche ormeggiate, dove i bambini corrono nei tubi di cemento lasciati per loro, e dove c'è un ristorante che le trofie al pesto sono un incanto.
Da lì poi salgo per la via di San Lorenzo, passo di fianco al Duomo e ai suoi maestosi leoni accucciati sulla scalinata, mi perdo in Piazza Giacomo Matteotti e le mille mostre di Palazzo Ducale - A proposito, c'è in programma una mostra di Henry Cartier-Bresson che termina il 14 febbraio, qualcuno vuol venire? - Dopo costeggio carugi e stradine in salita, respiro i profumi della Salita del Priore, ad esempio, passo di  fianco ad altre vie con portici eleganti e disegnati, salgo ancora ed infine, di colpo, arrivo nel cuore nervoso e nevralgico della città, dove ci sono banche come se piovesse, dove la vita prosegue tre piani sotto il livello stradale, dove gli edifici sembrano incastrati come il Tetris, e dove ho l'appuntamento di lavoro.
Così diverso, quello spazio, dalla Genova appena attraversata che non sembra quasi di trovarcisi, a Genova, ma l'aria di mare la senti sempre anche qui, trasportata dal vento e se guardi in alto, ondeggianti nelle raffiche di vento li vedi lo stesso, i soliti quattro gabbiani.
A Genova c'è una piazza che adoro.
E' quella piazza dove ci sono migliaia di motorini, dico proprio migliaia perchè sarà un quadrato di 50, 60 motorini per lato, e cinquanta per sessanta fa tremila, e quindi saranno proprio migliaia, mi sa. 
Ma in questa piazza che ci saranno almeno tremila motorini, tutti attaccati come i pezzi del domino, che non ci passa una persona tra uno e l'altro, che giuro, vorrei spingere giù il primo per vedere che uno dietro l'altro tutti si appoggiano per terra ed a un certo punto vedi tremila motorini che dormono, nella piazza di Genova, dove c'è modernità, efficienza, facciate di vetro e acciaio e una salita antica e, sola e intaccata da tutto, separata dal mondo da una decina di alberi contorti, c'è un rudere che era la casa dove è nato Cristoforo Colombo, con dietro un giardino silente, con un colonnato che mi leva il fiato, da quanto è unico.
Questo ed altre mille cose, nella Genova che amo.
E poi, terminato il lavoro, prima di riprendere la strada per tornare indietro vado ancora a sedermi e a pensare, sui gradini di quella chiesa in pigiama a righe, sospesa sopra la via 20 settembre, con la piazzetta e la balconata e il liceo Scientifico e Classico Bernini.
La scorsa settimana seduto sui gradini di quella chiesa ci sono stato poco. Troppo il vento che ti entrava nelle ossa. Poco il tempo a disposizione, tra il primo appuntamento ed il secondo. Troppe ancora le sorprese che volevo preparare e che, in un freddo glaciale di un'altra città, sono poi riuscito a fare.
Ma così, anche attraversato dalle raffiche fredde che facevan battere i denti, a pensare mi son fermato.
A pensare ai mille motivi per cui questi luoghi siano diventati per me unici, limpidi, e rilucenti come cristallo. A riflettere su quante cose diverse e a volte contrastanti abbia pensato, seduto su questi stessi gradini. A ragionare sulle mille combinazioni del fato, del destino, a quanto abbia cambiato in me anche solo scriverne un post su Genova, mesi fa.

Non ci avete capito niente, vero? Lo so, lo so. Forse mi son perso anch'io, a fura di pensare troppo, e pensare fa corrente, mi han detto una volta.
Ma che volete farci, son così; e con la corrente, forse un'altra, ma forse in fondo sempre la stessa, alla fine io ci campo.

D&R

2 commenti:

  1. Genova è magica, e il tuo post anche... grazie per le belle sensazioni che hai trasmesso!
    folada

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  2. DR, bello quanto hai trasmesso. Io con le città non ci vado molto d'accordo. Oggi non saprei dire quale città sento più mia. Di Palermo, dove sono cresciuto, però, rimpiango il clima, gli alberi e il cibo. Comunque anche lì, il vento del Tirreno, a volte scuote oltre ai capelli, i pensieri. E noi uomini di mare ne abbiamo bisogno, di tanto in tanto.
    Qui in val padana, il vento non entra dentro.
    A presto!!

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