mercoledì 25 novembre 2009

Per una vita che viene

Ce n'è un'altra che va.
E da ieri che ho questo pensiero. E ieri una vita se ne è andata, e un'altra, puntuale, è stata segnalata oggi in viaggio, come gli annunci di un treno in arrivo o in partenza, gracchiati lontani dagli altoparlanti, con quella voce così roboante che si capisce sempre poco, e che mi fa pensare che magari, è proprio quello che parla, ad avere una voce così.
Un treno in partenza ieri, un treno in arrivo oggi.
E quella di oggi è stata una notizia fresca, un annuncio gioioso, un ex collaboratore ma non uno qualunque, un amico di sicuro, una persona con cui ho condiviso e condividerò ancora parecchio, certamente. Quello che scherzosamente chiamo Sheila, e lui sa il perchè, è chi ha visto da sempre Scrubs magari anche. Un compagno di pieghe, lui più bravo, che mi ha accompagnato a ritirare il mio Transalp, mille anni fa, e che, incosciente, mi aveva affidato allora il suo CBR600 perchè facessi pratica, visto che l'ultimo mezzo su due ruote su cui avevo posato il mio nobile fondoschiena andava ancora a carbonella. Sì, la draisina era stata inventata da poco.
C'è una cicogna che sta facendo i preparativi oggi, piega in due il tovagliolo a quadretti, fa un nodo con il lungo becco, ci mette dentro un cestino e ci infagotta dentro un'idea, un fagiolo luminoso che crescerà, in questi lunghi mesi di lenti battiti d'ali. A luglio, finalmente troverà la sua destinazione. Non potrebbe trovarne una migliore.
Ti aspettano, ti aspettiamo, noi qua, in questa gabbia di matti che hanno subito indovinato con chi parlavo al telefono e che abbiamo brindato con il caffè.

E una che se ne è andata, ieri.
Ma intendiamoci, non una vita qualunque, anche se non penso mai ci siano mai vite qualunqui. Questa però era una di quelle da fregiarsene, come una mostrina sulle divise dei militari, "io ho conosciuto lei". Una da andarne orgogliosi e fieri. Fieri di averla conosciuta, di averle parlato, di aver fatto parte della sua vita, dei suoi penseri, delle sue emozioni.
Una passione comune, la nostra, per la montagna, ma c'era tanto di più. Un'amicizia incrollabile, forte, che il tempo, sicuro, non scolorirà, e non sono frasi di circostanza, lo so. E lo sa anche lei.
Ieri, alla cerimonia funebre ero circondato da sensi di colpa, tanti quanti la gente in chiesa, gremita. Sì, perchè, nella nostra stupida vita che corri sempre per inseguire non sai neanche cosa, che dici tanto ho tempo per, o prima o poi la chiamo, ma sì, stasera è tardi e magari domani, e poi, ad un certo punto scopri dolorosamente, rabbiosamente che è tardi, ma tardi sul serio. E non torni indietro, non puoi. E ti senti stupido ed impotente, ma soprattutto inutilmente stupido.
E sempre ieri, che oltretutto è stata una giornata incredibile, una di quelle da segnare sul calendario con mille punti esclamativi, da controllare le congiunzioni astrali, i bioritmi e come mai non ci avevo Saturno contro, anzi Saturno era al bar ad offrirmi da bere e ha lasciato pure una lauta mancia, che è stata tutto e niente e poi ancora tutto e anche mia figlia ha preso dieci di scienze, ieri, dicevo, ho ricevuto in dono un semplice, prezioso e confortante consiglio; mi è stato detto fermati.
Fermati e non avercela con te stesso perchè la vita non si ferma mai e non è colpa tua, non puoi farci niente e basta.
Fermati e perdònati per questa faccenda.
Fermati e fai pace con lei adesso, domani, in chiesa, se credi. Non hai nulla da farti rimproverare, e lei lo sa, ovunque sia, lei lo sa.
Ieri invece mi rimproveravo, e tanto anche. Guardavo la chiesa strapiena colma di gente che non era lì per circostanza, no. Pensavo alle risate insieme, alla forza ed alla semplice determinazione di una donna che ha avuto tanto, nel bene e nel male, e che tutto il male che ha avuto avrebbe steso con meno fatica dieci di quelli come me. E lei no, non si lasciava abbattere, che rideva anche della sua malattia, che andava avanti con il sorriso di chi aspira tutto il succo dolce della vita, e sputa incurante i semi amari. Guardavo suo marito, perso, aggrappato con le unghie al suo devastante dolore.  Che il giorno prima mi aveva detto che lei avrebbe voluto cercarmi, ma in ospedale le avevano rubato il cellulare, e aveva perso tutti i miei riferimenti. E io, che non sapevo che, che non credevo che, che non mi ero fermato a sentire nel profondo dell'anima che. O forse lo sentivo ma era una voce lontana, coperta da mille altre cose da fare, che scopro dolorosamente insulse, oggi.
Ma il prezioso consiglio, regalatomi da una preziosa persona, mi è entrato dentro, silenzioso, calmo, rassicurante. Ed ha agito.
E oggi so che non devo darmi colpe. Non ha senso. La sapevo vicina, così come ho sempre saputo che era, come la sento adesso. E mi sapeva vicina anche lei, questo è sicuro. Come adesso.
Ne vado orgoglioso, di aver conosciuto una persona così. Speciale, coraggiosa, sfrontata, determinata, ostinata, amica insostituibile, un sorriso pronto come una pastiglia per la tosse da dispensare a chi ne avesse bisogno, come ha fatto con me.
Ne vado orgoglioso delle nostre sciate, delle nostre montagne, delle lunghe discussioni e delle risate, tante e contagiose, di come cominciava un discorso preparandosi un indice mentale, di tutte le cose nostre, di tutte le cose sue.
In montagna, il saluto che si usa in questi casi è "sei andata avanti".
Per cui arrivederci, Laura. Arrivederci. Sei solo andata avanti, tranquilla, e le cose che non ho potuto dirti, che avrei voluto dirti e che ho qui, stai sicura, te le dirò, prima o poi.
D&R

sabato 21 novembre 2009

Conto i minuti.


Li conto da sempre, da quando ho memoria, che volete, sarò malato, li conto per tenere allenata la mente, per giocare con i numeri, che mi diverto e passo il tempo. Li conto quando, ad esempio sono in auto, da solo, e magari mancano, che so, duecentoquarantatre chilometri per tornare, e so che se mai rispettassi i limiti vuol dire che ci metterei un'ora e cinquantadue minuti, ecco più o meno sì, e se invece li supero appena appena, ma appena sotto la velocità del suono, dicono alcuni, allora vuol dire che di ore ce ne metto sempre una, ma i minuti diventano solo più ventotto, sempre minuto più, minuto meno. E questo vuol dire, che so, passare almeno mezz'ora a giocare con la mia bimba, mentre altrimenti, magari, la troverei beatamente adormentata, ed oltretutto nel lettone, cosicchè mi tocca dormire nel letto in legno rosa, con la scala per salire e lo scivolo sotto la torre per scendere, con tutte quelle stelle foforescenti appiccicate al soffitto, che mi perdo a guardarle, ed a sperare di vedere qualche Leonide di passaggio, che questa è la stagione, e che qualche desiderio, frugando in tasca, mi sa che me lo trovo ancora.
E quindi poi me li riconto a mente, che se adesso sono le diciannove e trentanove più un'ora e ventotto quanto fa, allora nove più otto fa diciassette, l'uno me lo appiccico sul vetro davanti, proprio sopra la striscia del guardrail e scrivo idealmente il sette sullo specchietto retrovisore e tre e due cinque, prendo l'uno e diventa sei, che vuol dire uno scatto dell'ora, ecco ci sono, metterò la macchina in garage alle ventuno e zerosette. E che se poi giro la chiavetta e sono magari, che so, le venti e cinquantadue vuol dire che o ho sbagliato i conti o che la strada era sgombra, ed i miei pensieri vagavano leggeri.
E mi dicono che ti capiterà, prima o poi, che ti levano talmente tanti punti che dovrai ricominciare con il triciclo a pedali e poi la bicicletta con le rotelle e poi tutta la trafila solo che a quel punto la patente non te la daranno più per sopraggiunti limiti d'età.
Ma attenzione. Primo, io difficilmente alla guida mi distraggo: penso, sì, quello è vero, ma sto attento. E le cinture le metto sempre, e da tempi non sospetti, non tengo il cellulare in mano, mai, che lì basta un attimo e sono dolori, faccio attenzione sempre. E la mia auto mi accompagna sicura, tutto sommato ronfando tranquilla, che di cavalli ne ha a sufficienza da farsi spremere ancora un pò di pù, all'occorrenza. E secondo, in questo ci ho più culo che anima.
E poi conto i minuti anche quando corro ma a piedi, che questo è un tasto dolente, perchè il mio tendine non collabora proprio. E tutta la fatica, tutti i soldi spesi ed il dolore subito in terapie si sono frantumati nella prima delle tre corsette che mi erano state concesse: venti minuti a un ritmo da pensionato son bastate per ritrovarmelo tutto gonfio e dolorante. E il medico che ha aiutato una marea di runners, oltre ad atleti di vario genere e valore l'altro giorno scuoteva la testa, dicendomi che era una ricaduta e che non sapeva proprio cosa dirmi. Che faccio taglio? Ma sì, taglia.
A me, che oggi, con un lungo finesettimana davanti, e che sono duemilaquaranta minuti, fino alla mezzanotte di domenica, e a ritrovare il ritmo e ricominciare fino alla prima parola di lunedì ci saranno altre nove ore circa che sono altri cinquecentoquaranta minuti più gli altri fa duemilacinquecentottanta minuti, a me dicevo, anzi a me mi, manca correre, in maniera spasmodica, innaturale, fisica, e che se dovessi non dare ascolto a questo tendine malato incomincerei a correre adesso in questo momento, con il mio cappellino nero, gli occhiali da sole e le mie Saucony, con il lettore con dentro gli ultimi brani che ho messo e che mi fanno allungare il passo. E non mi fermerei, dopo venti minuti e bada a non forzare, correrei a perdifiato, fino a sentirne il benefico effetto in ogni parte del corpo, dalla punta delle ciglia ai piedi. Probabilmente riaprendo gli occhi, sarei arrivato fino a Mondovì, oggi.
Ma il tempo conta anche lui, subdolo, e gira a rovescio, e pian piano, che neanche te ne accorgi dai che almeno una decina di minuti son già svaniti, sciolti, liquefatti, e prima che te ne renda conto si frantumeranno anche gli altri, sul muro delle cose da fare, dei lavori da ultimare, delle sorprese da inventare. E a un certo punto scopri di aver sbagliato qualcosa, nei tuoi conti, perchè se prima duemilaepassaminuti sembravano un'eternità, scopri che sono un'inezia, un gioco fatto di niente, una favola inventata per tua figlia ed una passeggiata con lei a guardare i colori delle foglie che cadono, che in questa stagione li vedo abbastanza annch'io.
E allora datemente ancora, minuti così: datemene a raffica. Minuti d'attesa, minuti di qualcosa che ti scalda dentro e che non passa. Minuti che precederanno altri minuti ed altri minuti ancora. E li userò tutti, non ne sprecherò neanche uno. Per fare cosa non so, deciderò man mano. Ho così tante cose da fare, a cominciare dai miei fogli con troppi punti esclamativi che significano che la consegna è diventata più che urgente.
Magari ci scriverò su un post.

martedì 17 novembre 2009

Il nastro di Moebius

Mi è tornato tra le mani per caso, l'altro giorno, improvvisamente. Uno squarcio nel passato, un ricordo quasi dimenticato che è tornato vivo fresco, liquido. Ha bussato, non ha neanche aspettato che aprissi, mi ha investito, come spesso fanno i ricordi improvvisi, in un vento che esplode di una moltitudine di foglie gialle e rosse, dai suoni secchi, carico dei profumi caldi di estati dimenticate. Si, Mi ha investito. Nostalgico? Anche, a volte.
Non so se ci avete mai giocato, con questo incredibile pezzo di carta, quando eravate ragazzi. Parlando da ingegnere, matematicamente si tratta di un esempio di superficie non orientabile, in cui esiste un solo lato e un solo bordo. Infatti, dopo aver percorso un giro, ci si trova dalla parte opposta; solo dopo averne percorsi due ci ritroviamo sul lato iniziale. Ma a me ricorda altro.
Erano tanti, mille anni fa. La scuola, la mia vita di ragazzino, così diversa da adesso..
E la prima incredibile cotta. Di quelle che hai il cuore a mille e che non ti riesci neanche a spiegarti perchè, tu che fino ad un secondo prima giocavi ancora con il Subbuteo e le automobiline. Non ricordo neanche che classe facevo. Non ricordo più il nome, forse Annalisa, ricordo vagamente il volto, che ritorna da una vecchia foto di classe, di quelli dove lei aveva i codini ed io il grembiule scuro.
Lei era una di quelle bravine e perfettine, quelle con la mano alzata, sempre. Sapeva l'Infinito a memoria, ma sospettavo che se lo fosse scritto nascosto da qualche parte. Brava in italiano, brava in inglese, con lei riuscivo a spuntarla solo in matematica. E nelle gare di corsa, quello per forza, che mi piaceva già allora. Per tutto il resto mi batteva regolarmente. E la cosa pungeva un pò il mio orgoglio, ma mi piaceva da matti. 
Una di quelle cose che le dicevi solo agli amici, di nascosto, come quando ti dicevano, che so, lo sai che mi son fidanzato con Maria, e tu gli chiedevi se lei lo sapeva e l'altro rispondeva certo che no. E ci passavi le ore a scuola a guardarla, di nascosto che la prof di chissàccheccosa se ne accorgeva sempre e vai con gli urli. E forse sì avevi incominciato a scoprire che ti piaceva scrivere allora, perchè allora hai cominciato e poi non hai più smesso. E scrivevi il nome sul bordo del foglio del compito in classe, invece che farlo, il compito, lo scrivevi a ripetizione, uno, due diecivolte in riga uno dietro l'altro, che poi quando ti risvegliavi scoprivi che mancavano dieci minuti al termine, dovevi cancellare tutto con la gomma da stilo, quel disco azzurro di gomma dura, che se non fai attenzione attraversavi il foglio da parte a parte e finivi che il compito era un guazzabuglio di scritte, cancellature, conti fatti troppo in fretta e alla fine tua madre andava al colloquio parenti per sentirsi dire che sì, andavo benino, ma avrei potuto impegnarmi di più.
E ricordo che mi svegliavo presto la mattina per andare a scuola e vederla. lì nello stesso banco, che non sapeva neanche che esistevo. Che poi non ce l'avevo mica, il coraggio di parlarle, tranne qualche "ciao" di striscio, un poco come se fosse capitato per caso, quando invece avresti voluto dirle solo che ti piaceva, e da matti.
Poi, in giorno, giocando con la matematica, mi ero studiato da solo, per la prima volta il mio nastro di Moebius, personale. Mi aveva sorpreso, ma l'avevo analizzato e compreso. E in un attimo me l'ero studiata così bene, che il giorno dopo, avrebbe funzionato, la va o la spacca. E il giorno dopo mi ero presentato da lei, davanti a scuola, con il mio nastro per lei. "Scommetto che non sai cos'è", le avevo detto improvviso, senza neanche salutarla, porgendoglielo. Lei stava parlando con le amiche, ma mi aveva visto arrivare: sospetto che la mia cotta segreta non fosse poi così tanto. Mi aveva guardato, con gli occhi che ridevano e poi mi aveva risposto "E' un nastro tagliato male".
"E allora scommettiamo che ti sorprenderà, questo nastro tagliato male?" Avevo ribattuto io, con la spavalderia che mi serviva a nascondere le mani che tremavano. "Scommettiamo un bacio. Un bacio perchè questo nastro tagliato male ti sorprenderà una volta ed un'altra subito dopo" le porsi le forbici ed il nastro di carta. Eravamo soli, in quella piazza, nel ricordo che ho di allora non c'era più nessuno, anche se, magari c'erano le sue amiche intorno che sghignazzavano, non me ne ricordo.
E lei cominciò a tagliare nel senso della lunghezza, mentre le spiegavo. Le spiegavo, sicuramente in maniera confusa che le avevo donato quel nastro perchè mi piaceva e tanto, che eravamo io e lei, quel nastro, e che ci provasse una, due volte a separarlo quel nastro, se ne era capace, a separare me da lei. E mentre parlavo e lei tagliava e vedevo lo stupore nei suoi occhi, mentre tagliava, una e due volte. Poi, per un attimo che mi è sembrato un secolo, il tempo si era fermato, allora.
Quel bacio, inaspettato ed improvviso, da ragazzino imbranato, imbambolato, incredibile, con i fischi di incitamento degli amici di allora, quel bacio me lo ricordo ancora adesso.
Chissà cosa fa, adesso, dove vive, se è sposata.
E chissà se mai le è più capitato, riprendendo per caso, che so, un nastro di stoffa cucito per sbaglio a formare un nastro di Moebius.
Secondo me ha sorriso anche lei.





venerdì 6 novembre 2009

Poche parole


Ed io ho altro... in questo momento...


GGGHFHGOOH...
(è  quello che riesco a dire in questo momento)



A voi, BESTIE senza cuore del mio studio ed ai vostri tormenti dell'ultima settimana.... Siete dei.... Tanto lo sapete, cosa siete!!!

D&R

giovedì 5 novembre 2009

Hai presente...

Quando non gira, quando una piccola grana e via l'altra, e avevi l'umore così, stamattina, così... No, il magone ti arriva da ieri, te lo sei covato dentro la notte, aspettava, come quei raffreddori che pensi di aver debellato con un'aspirina e una bella sudata e invece, alla prima occasione, che so, uscire in camicia fuori dallo studio, zac. Ti coglie alle spalle e ti atterra.
Beh. Oggi è un giorno di questi. E la nebbia di stamattina, di quelle belle, che tutto è silenzio e torpore, è già passata. E ha lasciato il posto ad una di quelle giornate fredde che ti senti che potresti tranquillamente passare che so, su di un divano a far finire il giorno senza muovere un dito.
Intendiamoci, niente di grave, domani ne riderò, sicuro, ma oggi è ruvido.
E quasi subito un computer che non aspettava altro che guastarsi, e quasi sicuramente è il disco, e menomale che era nuovo, un centosessanta Giga veloce come una spia che improvvisamente tanto veloce non è più e perfortuna che ormai, con il server ipermegasuper rappresenta solo una dannatissima rottura di balle. Prendi stacca, smonta, vai e torna, e stai fuori reapira e aspetta, ma dai che tanto non succede mica niente, a star lì come un palo l'unica cosa che ti può capitare è che arrivi un cane a pisciarti sui jeans.
E poi quello che lavora insieme al mio socio e che ha deciso che va via, che va in Australia a lavorare per un anno, ma ne aveva parlato e discusso e ragionato con me, che lo sapevo da almeno una settimana. E poi va a dire al mio socio che a me l'aveva già detto.
E poi domani che c'è quell'esame, e ormai, nolente o volente e no che non voglio, ma sono in minoranza è arrivato. E non voglio neanche nominarlo, ma qui in studio  e dammi una G, e dammi una A, e mi ci han fatto pure il conto alla rovescia, e allora è tra tre giorni, no ormai tra due, ma aspetta è già domani, e poi, I BASTARDI, che mi lasciano in giro per lo studio tubi di ogni forma e dimensione. E vai.
E poi oggi so che non comincerò a correre domenica con il mio amico di corse e scorribande perchè lui non può. E allora no che non ci vado a correre per bucodiculoplace, che ci son più cani che anime, che non c'è una strada che corri e dici che bello, tant'è che Renè mi ha consigliato di fare il giro del cimitero.. E ho detto tutto. Vabbè, per quello comunque non mi faccio smontare. Perchè per correre devo riprendere dove è cominciato tutto, al chilometro zero del Parco, e saranno solo venti minuti, ma sarà come non aver mai smesso e sto già meglio. E via che lunedì non è poi così distante da qua.
E non ci sono solo stati momenti no, di momenti sì ultimamente ne ho a iosa, da spargere in giro, ma spargere in giro mai e poi mai, e me li tengo stretti, come un abbraccio. Solo che questi momenti tra un momento e l'altro finiscono, e tu avresti voglia di dire ma no, aspetta, che ne ho bisogno che non finisca, che esista, che mi basti, che.
E se poi ci metti un termine, ai momenti, che so a Natale, anche se scherzavo, e allora ti viene in mente che se è così, in fondo, anche Babbo Natale è un pò stronzo.
Lo so, è una giornata nata storta e che storta deve finire. Ma ho avuto un consiglio, ed io i consigli li seguo, quasi sempre. Vado a coprarmi questo coso. Non so cosa sia, forse è un rasoio per farsi la barba a striscie, forse un grattaschiena per masochisti. Forse un nuovo tipo di distanziometro laser, devo andare a vedere da Allemanno se qualcuno mi aiuta.



D&R

lunedì 2 novembre 2009

Alda Merini

In sua memoria non saprei quale poesia mettere; tanti hanno fatto meglio di me, andate a cercarli. Fatevi cadere dentro quelle che non avete mai letto e riassaporate quelle che conoscevate già. Ascoltatela, ancora e ancora. Nelle strofe incantevoli, dure schegge di cuore ferito che vagano ancora, luccicanti stille di emozione che non si spegneranno mai.

D&R