venerdì 17 luglio 2009

Appeso con due dita alla vita - Tomahwak 1

L'altro era partito forte. Era uno stronzo, sì, ma indubbiamente sapeva il fatto suo. Quei muscoli volevano pur dir qualcosa. E lui cominciava a sentire quella voce irritante, dentro di , che da qualche tempo, nei momenti in cui doveva confrontarsi a muso duro con il mondo, gli diceva solamente "sei un pirla". E adesso era lì, a tre metri da terra, già pronto a far vedere a tutti che non valeva un cazzo.
Dopo lo scambio di battute tra Renato e la fatalona, loro due si erano infine diretti verso l'attacco della via. Poco distante anche il bestione muscoloso ed il suo compagno avevano finito i preparativi e si stavano incamminando, con lo sguardo di Bruno che era rimasto torvo e fisso su di lui da prima. Cominciava sgradevolmente a sembrare una gara, e il fastidio allo stomaco gli faceva pensare che non era stata poi una grande idea. Paco non calzava ancora le sue scarpette, che metteva rigorosamente solo prima di salire. Renato si era allontanato un momento, era andato ad armeggiare nel baule della sua macchina, che lasciava sempre aperta ("così se da fastidio a qualcuno la sposta") e stava tornando indietro con un pacchetto scuro tra le mani.

", buon compleanno, vecchio. Contavo di dartela stasera in maniera da costringerti ad offrirmi almeno una pizza, pezzo di spilorcio che non sei altro; ma adesso ti serve di più, almeno non fai la figura del barbone, anche se dubito che serva a mascherare, perché tu sei davvero un barbone!!".

Paco, chinato ad annodare le stringhe guardò dal basso verso l'alto l'amico e prese il pacco con una smorfia in viso che doveva assomigliare ad un sorriso, prendendogli nel contempo la mano a srtingerla a ringraziarlo e non sicuramente solo per il regalo: non gli piaceva festeggiare il suo compleanno, quella scadenza con il suono di una campana da morto che da piccolo segnava quanti anni aveva finalmente raggiunto, e che adesso avvertiva in maniera sinistra che un altro anno gli era stato sottratto e che sempre meno gliene restava ancora. Mal sopportava che gli ricordassero che il tempo stava passando, lento e inarrestabile, non era giusto. Ogni anno che doveva festeggiare gli ricordava un gradino che scendeva con passo pesante, verso qualcosa che sembrava peggio di quello che si era lasciato alle spalle. Odiava le feste a sorpresa, non gli piacevano i regali fatti per forza, che dimostravano solamente quanto uno era disposto a spendere. Per lui un regalo era dimostrare all'altro o all'altra di turno cosa significava la loro presenza nella sua vita e quali orizzonti nuovi quest'amicizia o questo amore avevano aperto.

Quand'era molto più giovane, "nell'età stupida", come aveva letto in un libro (in cui peraltro non si sentiva di essere ancora uscito) si era perdutamente innamorato nei confronti di una ragazza che era venuta a passare l'estate in montagna e che ricambiava timida i suoi sguardi, quando lui riusciva a malapena a parlarle. Mamma mia quanto era bella, e dolce, e giovane. Lei l'aveva infine invitato alla sua festa e lui era diventato matto, in cerca di qualcosa di unico e speciale che raggruppasse e manifestasse tutte le sue emozioni. Era poi partito alle quattro del mattino, zaino in spalla con dentro la sua reflex ed un tele a specchio da 500 mm che gli erano costati mesi di niente pizze con gli amici e niente benzina nella moto. Era andato su, in alto nelle valli sopra lo Scarfiotti. Ne era tornato solo a tarda sera con alcuni tra i suoi scatti più belli di allora, impressi dentro al rullino: aveva infine scelto quello di una volpe con i suoi due cuccioli affacciati alla tana, con l'alba che ingialliva le montagne leggermente sfuocate sullo sfondo, che gli era costata un'appostamento di quasi due ore. Era forse leggermente sovraesposta ma poco importava. L'aveva fatta lui; aveva dedicato un giorno della sua vita, unico ed irripetibile per donarle una cosa unica, che fosse esclusivamente per lei: nessun altro avrebbe potuto eguagliarlo.
Difatti. Lei aveva guardato con aria leggermente annoiata la foto e lo aveva ringraziato con un sorriso di circostanza ed una frase banale del tipo "non dovevi". Non dovevi?? Ma che cazzo di risposta!!!. Non aveva capito, non aveva letto niente di quello che a lui pareva fosse lampante. Poi invece aveva sgranato gli occhi ed aperto la bocca in un sorriso dai denti candidi quando un altro, un biondino tutto leccato e fighetto, gli aveva regalato una maglietta di "Guru", che probabilmente si era fatto comprare dalla mamma. Con una scusa dopo una mezz'ora era poi scappato dalla pizzeria e se ne era andato. Subito dietro l'angolo aveva trovato i due, stretti in un bacio appassionato che avrebbe potuto essere il suo, se solo avesse scelto il regalo giusto. Non l'aveva più cercata rivista.

Era stato in quegli anni che il mondo aveva pian piano cominciato a parlare una lingua diversa dalla sua. Lui si era semplicemente adattato, spostandosi dove potevano ancora capirsi a vicenda.

Guardò il pacchetto che aveva tra le mani. La carta era quella da pacco, ed era legata con uno spago spesso. Renato non badava molto alle apparenze. Strappando la carta tirò fuori una maglia nera: la riconobbe subito, era quella maglia nera: l'aveva vista una volta in un negozio e quando si era decisa di andare a comprarla non l'aveva più trovata. Una maglietta della Light Hunter. L'aveva poi cercata a lungo in giro ma senza fortuna. Ne aveva parlato una volta sola a Renato, settimane fa. E lui se ne era ricordato, e chissà a chi aveva ritto le balle per riuscire a procurarsela. Era una maglia con le foto in sequenza di uno sciatore mentre esegue un salto compiendo un trick da brivido, una rotazione completa sull'asse verticale. Sotto una frase che riassumeva quella che era diventata praticamente la sua filosofia: "Non d'è niente di male a cadere. E' sbagliato rimanere per terra". Quello era un regalo, per come la pensava lui. E per fortuna non era il solo a pensarla così.

"Grazie. Non ti dico altro. E pizza pagata, se prendi solo la margherita, anzi mi voglio rovinare e ci aggiungo anche una piccola bionda", gli disse tendendogli la mano.

Renato gliela prese e lo aiutò ad alzarsi. "Io stasera prenderò una otto stagioni con supplemento di mozzarella di bufala e di birre ne berrò almeno due, medie, e, per non indurti in tentazione spenderò quei tre o quattro Euro che ho ancora in tasca per offrirti l'aperitivo, crepi l'avarizia, così o paghi tu o ci tocca di nuovo scappare dalla finestra del bagno... Ma ci hai pensato che regalare una maglia con tutte queste balle sul cadere ad uno che arrampica è tirarti un po' di sfiga?" Dai che ti assicuro: Madonna come sei figo con questa maglia!"

E adesso era già svanito tutto: l'allegria e la sicurezza. Quando sei sotto e guardi la parete ti senti pronto a tutto, ti senti grande ed invincibile. Poi bastano un paio di movimenti e la spia della riserva è già lì pronta ad accendersi. Ma adesso c'era qualcos'altro: quella situazione non gli piaceva e non gli girava affatto bene. E poi c'era che stava andando da primo e su una via tosta. E con quell'altro che era di fianco al lui, anzi era già sopra di lui, che grugniva rumorosamente mentre cercava di arrivare a mettere il rinvio. E poi c'era quell'altra sotto, che, distesa languidamente sullo sdraio poteva anche dormire, nascosta sotto gli occhialoni, ma che lui sapeva che lo stava guardando. Se lo sentiva nella schiena quello sguardo, quegli occhi che aveva solo intravisto erano lì, due punture di spillo, che gli bruciavano dentro.

Renato immobile sotto di lui lo guardava e gli faceva sicurezza, e tra i denti gli uscivano piccoli incitamenti e smorzate bestemmie. A qualche metro da lui Tony faceva sicurezza all'altro che stava andando come un treno.

E quella vocina, subdola, che gli ronzava intorno come un insetto fastidioso, che andava e veniva, e che sgretolava a mano a mano tutte le sue certezze. E cominciava ad avere paura: paura di cadere e di farsi male, di farsi vedere un perdente. Cominciava a tenere troppo sugli appigli, a stringere troppo con le dita, ad usare troppo le braccia, invece di cercare l'equilibrio e la musica di una via fatta bene. E aveva le palme delle mani sudate. Troppo.

Era solo un paio di metri sopra un rinvio quando accadde. Aveva la mano destra nel sacchetto della magnesite quando improvvisamente l'appiglio del piede destro cedette. Il piede sinistro stava spingendo per cui andò subito in rotazione. Poi tutto durò meno di un secondo, ma in quel secondo buona parte della sua vita aveva veramente cominciato a scorrere. Ed era quella parte in cui lui ed "One" erano stati veramente una coppia. Non aveva neanche provato ad urlare "Tienimi!!!". Non ne aveva proprio avuto il tempo.

Aveva cercato maldestramente di tirare fuori la mano dal sacchetto ma non aveva fatto in tempo. L'altra mano aveva mollato la presa ed era andato giù.

Volare due metri sopra un rinvio vuol dire fare un volo di almeno quattro metri ma Renato era stato veloce come non mai. Aveva capito più che vedere che stava perdendo la presa e, nel momento esatto in cui era venuto giù aveva recuperato almeno un metro e mezzo di corda, spostandosi all'indietro per ridurre il volo. E quando aveva ricevuto il contraccolpo non si era mosso di un millimetro.

Paco si era visto scendere dritto come al rallentatore, mentre aveva sentito l'Ooohhh! della gente ferma sotto di lui ad osservarlo. Poi aveva sentito la botta al fianco, che gli aveva fatto uscire l'aria dai polmoni tutta d'un fiato, accompagnata da un lamento sordo che gli era uscito involontario, quando l'imbrago l'aveva improvvisamente trattenuto. Nella sua mente non aveva per un attimo smesso di analizzare lucidamente cosa stava succedendo ed era riuscito anche ad impedire di spaccarsi il gomito su uno spuntone che gli era venuto incontro per fargli male.

Poi silenzio. Silenzio sotto di lui, silenzio in parete. E silenzio dentro di lui.

Era praticamente attaccato trenta centimetri sotto al rinvio, Renato aveva fatto un buon lavoro.

"Tutto bene? Come stai? Ti calo? Mi senti? Parlami, cazzo!" aveva gridato Renato.

Lui provò a muoversi, ancora appeso. A parte la botta non gli sembrava di essersi fatto granché, ma a caldo è difficile sentire il male. Certo che dove aveva sbattuto gli sarebbe venuto un bel livido. Alzò un braccio in direzione dell'amico: "Grazie Renè, sei stato troppo veloce... proprio come mi dice sempre tua moglie... Mi sa che è la maglia che porta sfiga!" Gli disse finalmente ridendo, levandosela e lanciandogliela, rimanendo a torso nudo.

Renato l'aveva presa al volo con la mano sinistra, sempre tenendolo in sicurezza, ridendo alla battuta. Era più rilassato, adesso."Che fai? Ti calo? Dai, riposati un attimo che vado su io".

Paco era lì, ancora in parete. Fermo. Silenzio, intorno e dentro di lui. Il fiato ancora grosso che gli faceva alzare ed abbassare rapidamente il petto. Sentiva di nuovo l'aria, il vento che giocava impertinente con i suoi riccioli. Riassaporava improvvisamente la parete che non era più così estranea come gli era apparsa fino a quel momento. La vocina stridula era improvvisamente scomparsa, forse era caduta nel volo, insieme alla paura di poco prima. Le palme delle mani erano nuovamente fresche ed asciutte. Sul petto e sulle braccia qualche graffio neanche poi troppo leggero aveva lasciato sottili righine rosse, segno che proprio tanto distante dalla roccia non era passato. Il dolore cominciava ad insinuarsi lento nel suo sistema nervoso.

"Tutto bene, montanaro?" La voce sprezzante veniva alla sua sinista, più in alto. Bruno era un paio di rinvii più su, e si sporgeva in fuori osservando.

"Non potrebbe andare meglio" rispose. "Beh mi ci voleva proprio, una bella scarica di adrenalina funziona come un tonico, dovresti provare ogni tanto. Sai, adesso mi sento proprio pronto a prendere a calci quel tuo culo da cittadino". Poi si girò verso il basso, verso Renato, che lo teneva ancora in tiro. Dietro di lui Patti era in piedi, e non sorrideva più. "Tranquillo socio, son come nuovo. Dovevo solo sgranchirmi le gambe; sai alla mia età ci metto sempre un di tempo". Poi alzò leggermente la voce, rivolto al pubblico non pagante che era ancora ammutolito, lì in piedi e, disse, alzando le braccia in un gesto da teatrante, con una voce da imbonitore: "E adesso che ho catturato la vostra attenzione, ssiore e ssiori, attenzione che lo spettacolo va ad incominciare!"


E mi devo di nuovo fermare......................

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